La comparsa della fotografia, nella seconda metà del XIX secolo, impone una riflessione intorno al rapporto nuovo (e forse illusorio) che l’individuo può stabilire con la realtà circostante, sul duplice piano del punto di vista e del tempo.
La fotografia, proprio perché cambia definitivamente il modo di guardare il mondo e di rapportarsi con la memoria, suscita fin da subito l’interesse e le riserve di molti grandi scrittori dell’Ottocento.
Accanto all’arte e alla letteratura, e in dialogo con esse, la fotografia guadagna nel secondo Ottocento il proprio spazio come veicolo di rappresentazione della realtà, rivelandosi al tempo stesso tutt’altro che neutrale e trasparente.
Un dato accomuna la letteratura dell’epoca alla fotografia: il tentativo, o la volontà, di dare una raffigurazione impersonale del reale, che attraverso la massima obiettività dello sguardo lasci parlare le cose.
Con Verga il tema del rapporto tra letteratura e fotografia si pone a un nuovo ed elevato livello di complessità: esse appaiono come due rappresentazioni nate da uno sguardo comune ma per certi versi alternative, eppure non del tutto slegate.
Interessatissimo alla fotografia, Verga manterrà invece una estrema diffidenza nei confronti del cinema. Tuttavia le sue opere, e il suo modo di guardare e rappresentare il reale, costituiranno un modello di riferimento per la stagione più florida del cinema italiano: quella del Neorealismo.