Il rapporto di Freud con la letteratura non riguarda solo la controversa lettura psicoanalitica delle opere letterarie, ma investe anche la sua relazione con la scrittura, con il resoconto e la modalità di organizzazione, per certi versi narrativa, del caso clinico.
La «scoperta» dell’inconscio si presenta come una discesa nelle profondità ignote dell’Io, celate sotto la superficie visibile della coscienza. Una «discesa agli inferi» attraverso cui la dimensione profonda dell’individuo è riportata alla luce, prendendo forma in immagini, prima, e nelle parole, poi.
Il mito e il tragico assolvono una funzione decisiva nell’elaborazione del pensiero di Freud, la cui genesi si avvale anche dell’analisi dell’esperienza autobiografica. Freud è come «uno Shakespeare che si è analizzato», e l’intero orizzonte analitico è assimilabile a un’impresa eroica e mitica di discesa agli inferi in cerca di un senso per la vita.
Il più noto esempio di interpretazione psicoanalitica applicata a un testo letterario riguarda il caso della lettura freudiana della Gradiva di Wilhelm Jensen. Non per caso Freud sceglie un testo che non può essere considerato un capolavoro della letteratura…
Il rapporto della narrazione con la psicoanalisi è controverso e al tempo stesso produttivo. L’analista lavora sulle parole e attraverso le parole, dovendosi confrontare con il racconto lacerato della malattia, nel quale, in collaborazione con il paziente, ricostruisce una struttura narrativa che ha un rapporto diretto con la terapia.