L’Umanesimo elabora una nuova concezione della vita umana e della dignità dell’uomo, e in essa trova la propria linfa. L’essere umano, centro e misura del creato, creatura prediletta del Creatore, si afferma come «individuo spirituale», con un suo unico e inimitabile destino e una sua fondamentale identità.
Gli artisti avevano sempre rappresentato figure di eroi, santi e papi, ma, a metà del Quattrocento, comincia a farsi strada un altro tipo di ritratto, che ha come soggetto l’«uomo qualunque» e che celebra l’individuo in quanto tale, riconosciuto quale portatore di una nuova, autonoma dignità.
Al cospetto di una realtà che si scopre variabile, mobile e frammentaria, l’individuo diventa il centro in cui si rispecchiano i dati dispersi del reale, l’elemento unificante che, di fronte al mutare ininterrotto della vita, è l’unico filo intorno al quale possono organizzarsi le schegge del reale.
Crollate le certezze che avevano guidato l’uomo del Medioevo, l’individuo moderno, isolato, s’interroga su se stesso e sulla propria posizione nel mondo; la sua dimensione è ormai quella del dubbio ed egli non può far altro che interrogarsi sul significato delle cose.
Se il cuore era stato, secondo la tradizione poetica, il luogo del pensiero e del sentimento amoroso, la modernità nasce sotto il segno di un organo nuovo, il cervello, autentica figura dell’Io moderno.