L’uomo ha un’innata tensione alla socialità, ma l’«opinione pubblica» va oltre questa disposizione naturale: nella sua accezione moderna essa nasce nella cosiddetta società della conversazione e fiorisce, tra Francia e Inghilterra, nei salotti nobili e nei club della nascente borghesia fra xvii e xviii secolo.
Diversi sono i fattori che, a cavallo tra Sei e Settecento, favoriscono la nascita dell’opinione pubblica come noi oggi la intendiamo: dalla pubblicizzazione degli atti di governo alla spinta propulsiva della borghesia, fino all’ampliamento della platea dei lettori.
Nella Francia di metà Seicento inizia la fioritura, intorno ad alcune grandi figure femminili, di quella che una fine studiosa, Benedetta Craveri, ha definito La civiltà della conversazione, riunita in spazi alternativi alla corte e gelosa della propria libertà e autonomia.
Fin dalla seconda metà del Seicento si assiste a una liberazione dei costumi e del pensiero che prepara il vero trionfo dell’opinione pubblica e della società civile, che diventeranno le autentiche protagoniste del xviii secolo, età dei Lumi e della libera circolazione delle idee.
Nei salotti settecenteschi acquistano un ruolo sempre più rilevante gli intellettuali, i grandi filosofi, da Diderot a Voltaire, che contribuiscono, al tempo stesso, alla formazione e alla diffusione dell’opinione pubblica.
I salotti, come le accademie, restano luoghi relativamente chiusi e selettivi, ma nel corso del Settecento altri spazi di elaborazione dell’opinione, almeno teoricamente aperti, si rendono disponibili. Tra questi, un autentico protagonista della scena settecentesca è il caffè.
Nel mondo contemporaneo, nella nuova società di massa, mentre aumentano i canali della comunicazione, sembrano essersi paradossalmente ristretti gli spazi di elaborazione dell’opinione pubblica nella sua accezione tradizionale.