

L’infinito è uno spazio dell’immaginazione che nasce dalla percezione sensoriale, in una dimensione contemporaneamente spaziale e temporale che si concretizza nelle forme di un pensiero poetante realizzate nella struttura del testo.
Le diverse stesure de L’infinito, conservate negli autografi e poi nell’edizione definitiva a stampa, permettono di osservare il processo con cui il pensiero leopardiano, nelle sue varie fasi, diventa scrittura poetica.
Da una redazione all’altra del canto, abbiamo la possibilità di seguire la mano di Leopardi che scrive e corregge i versi de L’infinito, e possiamo osservarlo nella ricerca della parola esatta, capace di definire con il massimo di nitidezza possibile l’indeterminato e sconfinato orizzonte dell’infinito.
Il pensiero che si fa poesia prende forma nei minimi dettagli del testo e della lingua: così il ma che apre, dopo un punto fermo, il quarto verso de L’infinito proietta la mente del poeta e del lettore oltre la siepe, verso l’«ultimo orizzonte» che pure è negato allo sguardo.
La tensione verso l’infinito si realizza, nella scrittura, come superamento di un duplice confine: quello del verso – per il ritorno insistente dell’enjambement – e quello della forma-sonetto, che naufraga nell’“aggiunta” di un quindicesimo verso.