Il «realismo» di Boccaccio si concretizza nell’ottica tutta terrena da cui egli guarda alla vicenda umana, che, come nessuno prima, rappresenta nella sua concreta complessità e varietà.
Andreuccio, provinciale ingenuo e un po’ troppo sicuro di sé, porta fin dall’inizio impressi nel carattere i tratti che garantiranno la buona riuscita dell’inganno stesso di cui sarà vittima.
Per molti versi, la Napoli di Andreuccio è anche quella in cui il giovane Boccaccio aveva trascorso gli anni della formazione, personale e culturale.
L’ingenuo Andreuccio, irretito in una trama di parole e racconti abilmente intessuti, crede di aver scoperto una sorella e si trova preso in trappola.
Napoli è l’emblema del carattere ambiguo che sempre, nel Decameron, contraddistingue la città: luogo della libertà, almeno potenziale, ma anche dell’insidia e dell’inganno, per il forestiero ingenuo che ne ignora le dinamiche.
Con i suoi abitanti, le sue voci, i suoi odori, Napoli non costituisce un semplice sfondo, ma s’impone alla ribalta, viva, come se fosse essa stessa un personaggio.
Derubato e minacciato, Andreuccio è ancora vittima designata delle tenebre napoletane e di un nuovo raggiro. Solo facendosi lui stesso malizioso potrà cavarsela.
Le disavventure e le peregrinazioni napoletane di Andreuccio appaiono, infine, come un percorso di formazione, al termine del quale, l’ingenuo protagonista avrà acquisito una nuova consapevolezza.