Dante è uomo del suo tempo, ma il XX secolo è stato profondamente impregnato di spiriti danteschi e, tra le rovine del secolo breve, negli orrori del lager o del gulag, egli è diventato il poeta della libertà.
Nei luoghi di un inferno terribilmente reale, nei campi di concentramento nei quali si entra lasciando ogni speranza, se una possibilità di salvezza ancora esiste, essa impone di salvare la dignità dell’uomo.
Qualche anno prima che Levi, chiuso nel Lager, scavasse nella memoria i versi e le emozioni di Dante, la voce del poeta della libertà e della dignità umane aveva accompagnato nell’esperienza atroce del Gulag il grande scrittore russo Osip Mandel’štam.
Nel Novecento, dopo il caos della Prima guerra mondiale, il perfetto cristallo della Commedia, poema dell’universo, non può che essere in frantumi. Resta la possibilità, etica e poetica a un tempo, di salvarne i frammenti, per provare, come il poeta americano Ezra Pound, a “riscrivere” il poema.
Schegge del poema dantesco sono anche disseminate in profondità in poemetto come La terra desolata di T.S. Eliot e, più in generale, in tutta l’opera di quest’altro grande poeta americano.
In Italia, il catalogo della presenza dei temi, della lingua e delle forme di Dante, sarebbe sterminato; ma bastano pochi tasselli esemplari per mostrare quanto la memoria poetica del XX secolo sia colma del ricordo della Commedia.
Studioso di Dante, il poeta Edoardo Sanguineti è stato maestro nell’informare la propria opera di un rapporto ironico ma sempre filologicamente rigoroso con la Commedia, mostrando che si può, al tempo stesso, studiare i classici e sorridere con loro.
Agli antipodi rispetto a Sanguineti sul piano delle posizioni poetiche, Pier Paolo Pasolini ha guardato al modello dantesco in tutte le sue esperienze intellettuali: dalla poesia al romanzo, dalla saggistica al cinema.